Il collezionista ha passato tutta la vita a collezionare quadri rari. Non milioni, non capolavori da museo, ma opere di artisti poco conosciuti che avevano qualcosa di speciale: luce, respiro, anima. Li conservava nella sua vecchia casa, in una stanza in cui entrava solo lui.
Ogni settimana puliva la polvere, controllava le cornici, ammirava le pennellate. Era la sua gioia segreta.
Ma una mattina entrò nella stanza e rimase immobile. Pareti vuote. Tutti i quadri erano scomparsi. Nessun segno di effrazione, nessun vetro rotto. Solo un graffio appena visibile sul pavimento. Chiamarono la polizia, arrivarono gli esperti, ma nessuno riuscì a capire come avessero fatto a portare via quasi venti quadri, vecchie cornici, scatole, senza lasciare alcuna traccia.
Il collezionista vagava per casa come in uno stato di torpore. Non perché fosse costoso, no. Aveva perso ciò che aveva collezionato per tutta la vita. La polizia interrogò tutti: i vicini, i corrieri, il giardiniere, persino la donna delle pulizie. Nessuno aveva visto nulla. Ma il terzo giorno uno degli agenti notò:
«Avete delle telecamere nel cortile. Perché non avete controllato l’archivio?».
Il collezionista impallidì. Se n’era dimenticato: le telecamere erano lì da tempo «per bellezza», per ogni evenienza. Accesero le registrazioni. Due ore di riprese: niente. Tre ore: niente. Quattro ore e all’improvviso: un’ombra.
Non era un uomo. Non era un cane. Qualcosa balenò alla finestra, come una piccola figura avvolta in qualcosa di scuro.
Cinque secondi e scomparve.
«Un cappuccio?», ipotizzò l’ufficiale.
«O un impermeabile», disse un altro.
Ma il collezionista non rispose: si era ricordato qualcosa.
Tornato nella galleria vuota, guardò il muro. In un punto della carta da parati era rimasta un’impronta appena percettibile, piccola, sottile, come di dita leggere.
«Una mano troppo piccola per un adulto…», pensò.

E allora ebbe come un colpo al cuore. Un anno prima, dopo la morte della moglie, aveva assunto una governante per la nipote, che a volte veniva a stare da loro. La bambina adorava disegnare, portava con sé i pennelli, poteva stare seduta per ore davanti ai quadri, come se parlasse con loro.
Uscì bruscamente dalla stanza. Nel corridoio c’era una valigetta, piccola, rosa, dimenticata lì. Si chinò, la aprì e all’interno trovò… non dei quadri, ma decine di disegni infantili. Gli stessi soggetti, le stesse immagini, gli stessi colori, come nelle opere rubate.
E in fondo, un foglio piegato con cura:
«Ti restituirò quelli veri. Avevo solo bisogno di copiarli. Non c’è niente di più terribile che perdere la bellezza».
Il collezionista sentì il cuore battere più forte. Sollevò il foglio e sotto di esso trovò una piccola chiave. La chiave di una vecchia soffitta. Una soffitta che non usava da tempo. Una soffitta in cui nessuno entrava da molti anni. Salì le scale, accese la torcia, inserì la chiave nella serratura e la porta si aprì lentamente con uno scricchiolio.
Sul pavimento c’erano delle scatole rovesciate. Nell’aria aleggiava un odore di polvere. E lì, nella penombra, vide… Ma non riuscì a raccontare a nessuno cosa vide alla fine del corridoio e perché rimase lì così a lungo, senza osare fare un passo avanti.
