La casa di Lucas si trovava alla periferia di una piccola città, dove le notti sono particolarmente buie e il bosco è così vicino che sembra respirare direttamente dalla finestra. In autunno era partito per un mese in viaggio di lavoro e la casa era rimasta vuota, fredda, buia, immersa nel silenzio. Quando Lucas tornò, notò degli strani rumori in soffitta: un leggero fruscio, come se qualcuno camminasse con cautela sulle travi di legno.
All’inizio pensò che fossero topi. Poi uccelli. Ma una notte sentì un fischio morbido e prolungato, più simile a un richiamo sommesso.
Prese una torcia, salì la scala scricchiolante e aprì la porta della soffitta. La polvere si sollevò nell’aria, l’odore del legno vecchio era pesante e umido. Il fascio di luce scivolò sulle scatole, sulla valigia, sui tessuti… e si fermò.
In un angolo, tra un vecchio cappotto e una cassa di legno, era appeso un piccolo essere con le ali membranose.
Lucas sussultò. Il cuore gli batté forte. Un pipistrello. Ricordò le storie: “pericolosi”, ‘malattie’, “aggrediscono le persone”. Fece automaticamente un passo indietro.
Ma la creatura non si mosse. Rimase semplicemente appesa, respirando affannosamente, debole, quasi senza forze. Aveva una ferita su un’ala e una zampetta tremava.
Non era un attacco. Era una lotta per la vita. La paura era ancora viva dentro di lui. Ma sopra la paura si levò un altro sentimento: la compassione.
Lucas coprì delicatamente il pipistrello con un panno morbido e scese al piano di sotto. Non sapeva cosa fare, ma si ricordò di un centro di riabilitazione per animali selvatici nelle vicinanze. Ci andò, anche se era notte.

Una dipendente del centro, una donna di nome Sara, accolse con cura l’animale ferito.
«È una femmina», disse a bassa voce. «Ha sofferto a lungo. Se non l’avessi trovata… non sarebbe sopravvissuta.
Lucas guardava Sara che curava con delicatezza la ferita, mentre il topo piagnucolava piano, sopportando il dolore e aggrappandosi alla vita con le sue minuscole zampe.
«Tutti hanno paura di loro», disse Lucas.
«Perché non li capiscono», rispose Sara. «Un solo topolino mangia migliaia di zanzare in una notte. E le zanzare sono portatrici di malattie».
Lei lo guardò dritto negli occhi:
«Lei protegge le persone. Solo che nessuno se ne accorge».
Lucas rimase in silenzio. Non riusciva a distogliere lo sguardo. La creatura da cui le persone fuggono, in realtà le salva.
Veniva al centro ogni giorno. Osservava come il topo riprendeva vita, come la sua ala guariva lentamente ma inesorabilmente.
E un giorno Sara disse:
«Oggi lo libereremo. Vuoi esserci?».
La serata era tranquilla e calda. Il bosco respirava il vento notturno. Sopra le loro teste le stelle si accendevano lentamente.
Sara aprì il palmo della mano. Il topolino era tranquillo, come se sapesse di essere a casa. Allargò le ali… e volò via.
Un cerchio sopra le nostre teste. Una morbida ombra nel cielo. Una scomparsa nella profondità della notte.
Lucas rimase lì a lungo. Ascoltava il bosco. Guardava nell’oscurità. E capì:
Non abbiamo paura delle cose spaventose. Abbiamo paura dell’ignoto.
Da allora non cacciò più gli ospiti notturni. A volte lasciava una tazza d’acqua sul davanzale della finestra. Solo per precauzione.
Perché ora sapeva: Non tutte le ombre sono pericolose. Alcune sono silenziose custodi della notte.
