L’infermiera entrò nella stanza e rimase paralizzata dal terrore: il paziente, che era stato dichiarato morto, si era alzato dal letto

Era l’alba.
L’ospedale era silenzioso: i corridoi profumavano di disinfettante e caffè proveniente dalla sala di guardia. L’infermiera Laura, già alla tredicesima ora di turno, riusciva a malapena a stare in piedi. Le restava solo da compilare i registri e controllare le camere. L’ultima della lista era la n. 19. Lì giaceva un uomo morto poche ore prima.

I medici avevano constatato il decesso durante la notte. Laura aveva aiutato personalmente a preparare il corpo per il trasferimento all’obitorio. Ricordava le sue mani, grandi, con le dita bruciate, e il suo volto, su cui era rimasta impressa una strana espressione, come se non avesse fatto in tempo a dire qualcosa.

Aprì la porta, tenendo in mano il tablet con il rapporto, ed entrò. La luce del corridoio cadeva delicatamente sul lenzuolo che copriva il corpo. Tutto era rimasto come l’avevano lasciato. Solo che ora… il lenzuolo si era leggermente mosso.

Laura si bloccò. Si avvicinò. Il cuore le batteva forte nelle tempie.
«Probabilmente è una corrente d’aria», sussurrò e si allungò per sistemare il telo.

In quel momento, la mano sotto il lenzuolo ebbe un sussulto.
Brusco, convulso. Poi un altro.
Laura indietreggiò, il tablet le cadde dalle mani e si ruppe sul pavimento con un rumore metallico.

«No… non può essere», sussurrò, sentendo crescere l’ondata di panico.

Il lenzuolo si mosse più forte. L’uomo, quello che credevano morto, sollevò lentamente la testa. I suoi occhi erano aperti e lo sguardo vuoto, vitreo. Fece un respiro profondo, secco, come se provenisse dal profondo.

Laura si precipitò verso la porta, ma le gambe sembravano non obbedirle.
«Aiuto!» gridò quasi senza emettere alcun suono.

Si udirono dei passi nel corridoio. Un inserviente accorse al grido.
Quando tornarono insieme, il corpo era già seduto. Pallido come la morte, con la flebo ancora attaccata al braccio. I monitor, spenti da alcune ore, improvvisamente lampeggiarono e si udì un breve segnale acustico.

Laura non riusciva né a muoversi né a distogliere lo sguardo.
Solo più tardi, quando i medici e la guardia irruppero nella stanza, capirono che l’uomo respirava davvero. Un respiro debole e raro, ma vivo.

In seguito si scoprì che il suo cuore si era fermato per tredici minuti e poi aveva ripreso improvvisamente a battere. Nessuno riusciva a spiegare come fosse possibile.
E Laura non riuscì a dormire per molto tempo: continuava a sentire quel primo respiro affannoso e il fruscio delle lenzuola che avevano dato inizio a quell’orrore mattutino.

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