I vicini pensavano che sull’albero crescessero arance… Finché non hanno visto QUELLO da vicino!

È successo in una calda giornata estiva, quando l’aria tremolava sui sentieri e il bosco sembrava immobile e assonnato. Un ragazzo passeggiava all’ombra dei pini, solo per tenersi occupato durante le vacanze. Il bosco era il suo unico vero amico: lì poteva ascoltare il silenzio, pensare e dimenticare il mondo.

Ma quel giorno vide qualcosa che lo fece fermare immediatamente.

Su un vecchio ramo contorto era appeso un intero grappolo di palline arancioni. Sembravano troppo luminose per il bosco, come se qualcuno le avesse appese lì apposta per attirare l’attenzione. La superficie delle sfere era liscia, con piccole macchie chiare. Erano calde al tatto… quasi vive.

Il ragazzo ritrasse la mano e un brivido gli corse lungo la schiena.

Ne parlò alla nonna. Lei rimase in silenzio e chiese solo:

«Mostrami dove sono».

Andarono insieme nel bosco. La nonna camminava velocemente, anche se di solito si muoveva lentamente. Quando vide quelle sfere, il suo volto cambiò: divenne serio, quasi severo.

«Non toccarle», disse a bassa voce. «E non permettere a nessuno di toccarle».

«Perché? Che cos’è?».

La nonna si guardò intorno, come per controllare che nessuno stesse ascoltando.

«È un segno. Il bosco sta soffrendo».

Il ragazzo non capì subito.

«Un tempo le persone vivevano vicino al bosco. Lo rispettavano. Chiedevano il permesso prima di prendere qualcosa. Poi hanno iniziato a tagliare, bruciare, urlare, sporcare. Il bosco avverte. Se vedi queste sfere, significa che sta soffrendo.

Il ragazzo aveva sentito le leggende sui «boschivi», coloro che custodiscono le profondità della foresta, ma le aveva sempre considerate fiabe. Ora invece la voce della nonna suonava così, che nelle sue parole non c’era traccia di fantasia.

La sera il ragazzo cercò una descrizione su Internet. Si trattava davvero di un fungo, raro e strano.
Appariva solo dove il bosco era stato danneggiato. Dove la natura chiedeva di fermarsi.

E allora si ricordò: in primavera nel loro bosco avevano lavorato degli operai con le motoseghe. Avevano abbattuto gli alberi per costruire nuove case di campagna.

Tutto era chiaro.

Il giorno dopo il ragazzo tornò di nuovo lì. Ora vedeva quelle sfere ovunque. Sui rami. Sui vecchi ceppi. Sui tronchi caduti. Il bosco era silenzioso, ma sembrava che guardasse. Dentro di lui nacque una strana sensazione, come se non fossero solo piante. Come se il bosco dicesse: “Mi senti?”

Il ragazzo lo sentì. Andò dall’amministrazione. Cercò di spiegare agli adulti che il bosco era malato. Mostrò loro le foto. Loro risero.

«Sono solo funghi. Vai a riposarti».

Ma il ragazzo non si fermò. Pubblicò le foto in un gruppo locale.
Scrisse: «Se non smettiamo di abbattere il bosco, morirà. E poi moriremo noi».

E all’improvviso lo videro gli insegnanti. Poi gli ecologisti. Poi i giornalisti. Iniziò una discussione. Controlli. Pressioni. E dopo due mesi l’area di abbattimento fu congelata. Il bosco fu salvato. Quando il ragazzo tornò ancora una volta a quel ramo, la maggior parte delle palline arancioni era già scomparsa. Ne era rimasta solo una, la prima.

Si avvicinò. E ora non sembrava più spaventoso. Sembrava vivo. Come un promemoria. A volte il bosco parla davvero all’uomo. Ma non con la voce. Con il dolore. Con il silenzio. E con i segni sui rami. E se li hai sentiti, significa che sono per te.

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