È successo nel bel mezzo di una normale giornata lavorativa. La gente beveva caffè, qualcuno sceglieva pasticcini da accompagnare al tè, i bambini guardavano le torte alla crema attraverso la vetrina. L’aria era pervasa dal profumo di vaniglia e di dolci appena sfornati: un’atmosfera accogliente, silenziosa, tranquilla.
E all’improvviso, un tonfo sordo, come se qualcuno avesse spinto la porta metallica dall’esterno. La commessa sussultò:
“Probabilmente è il vento…”
Ma la porta tremò di nuovo. E poi si spalancò. Un enorme corpo scuro irruppe letteralmente all’interno. Corna. Spalle. Muscoli.
Era un toro. Vero, vivo, enorme. E i suoi occhi erano tali che fu subito chiaro: era spaventato. La gente gridò.
Qualcuno fece cadere una tazza: la ceramica andò in frantumi. I bambini scoppiarono subito a piangere. I tavoli scricchiolarono e tutti si precipitarono ai lati.

Il toro scosse la testa e la vetrina con i dolci cadde a terra. Crema, vetro, briciole: in un attimo tutto si trasformò in caos. Ma la cosa più spaventosa non era che stesse rompendo tutto. Era che non capiva dove si trovasse.
Cercava semplicemente di trovare l’uscita. Corse tra i tavoli, scivolò sulle piastrelle, ansimando, urtando le sedie con le corna.
Qualcuno si nascose dietro il bancone, qualcuno corse in strada, qualcuno rimase immobile, paralizzato. E allora la commessa, una donna bassa, con la farina sul grembiule e un leggero sorriso pallido, fece un passo avanti.
Non verso il toro. Ma verso la porta. La spalancò e disse piano, quasi sussurrando:
«Vai».
Il toro si fermò. Respirava così affannosamente che il suo rantolo risuonava in tutto il negozio. Ogni suo muscolo era teso, come se fosse pronto a scagliarsi di nuovo. Ma guardò la luce. L’aria. La strada. E uscì. Semplicemente uscì. Passò un secondo. Poi un altro.
E il negozio si immobilizzò: il silenzio era tale che si poteva sentire una goccia di crema cadere sul pavimento. Poi qualcuno rise nervosamente.
Qualcuno si sedette direttamente sul pavimento. E la commessa espirò lentamente e si accovacciò: le mani le tremavano così tanto che riusciva a malapena a tenerle sulle ginocchia.
Più tardi si capì che il toro era scappato da una fattoria lì vicino. Spaventato dai rumori forti, era scappato, aveva corso per strada e si era ritrovato per caso davanti alla vetrina illuminata: la luce si rifletteva sul vetro e lui aveva visto lì un altro toro, il suo riflesso. Non aveva attaccato. Cercava la strada per tornare indietro.
I soccorritori arrivarono dopo dieci minuti. Il toro era fermo sulla strada deserta, respirava tranquillamente, come se avesse finalmente capito che era tutto finito. E la commessa disse poi una frase che tutti ricordarono:
“A volte chi fa del male ha solo più paura di noi”.
E dopo quel giorno, sulla porta del negozio apparve una nuova piccola targhetta:
“Ingresso per tutti coloro che sono stanchi. Anche se sei un toro”.
