In aereo voleva solo arrivare a destinazione tranquillamente… Ma il passeggero dietro di lui ha trasformato il volo in un incubo

Il volo doveva essere normale. Era un volo mattutino, l’aereo era quasi pieno, tutti sembravano assonnati, stanchi. Le persone si sistemavano, spostavano le borse, chiudevano i ripiani. Niente di insolito. Lui prese posto vicino al finestrino. Davanti a lui c’erano due ore di viaggio. Voleva solo rilassarsi, guardare le nuvole dal finestrino e dormire un po’. Ma la tranquillità finì nel momento in cui dietro di lui si sentì una voce forte e fastidiosa:

“Che stretto! Non c’è posto per le gambe!”, si lamentava il passeggero dietro di lui.

All’inizio non ci fece caso. Tutti possono essere scontenti. Ma un minuto dopo sentì delle gambe premersi con forza contro lo schienale. La morbida poltrona tremò. Sospirò e cercò di spostarsi con discrezione. Ma un attimo dopo arrivò un calcio. Poi un secondo. Poi un terzo.

Si voltò:

«Mi scusi, potrebbe evitare di dare calci alla poltrona?».

L’uomo dietro di lui, un uomo corpulento di circa quarant’anni, non provò nemmeno a fingere di essere gentile:

«Sto allungando le gambe. Ne ho il diritto».

Voce rude, sguardo sfacciato.

Tono di voce come se fosse il padrone.

Cercò di spiegare:

«Capisco, ma mi sta premendo proprio sulla schiena. Potrebbe stare un po’ più attento?»

«Se qualcosa non ti va, cambia posto», sorrise lui.

La hostess stava passando di lì.

Decise di non litigare e si rivolse a lei:

«Mi scusi, può aiutarmi? Continua a spingere il sedile».

Lei sorrise educatamente:

«Signore, la prego di non toccare il sedile del passeggero davanti a lei».

A quel punto l’uomo sospirò teatralmente:

«Oh, bene, ecco che arriva il lamentoso… Va bene, sopporterò».

L’assistente di volo se ne andò. E i colpi allo schienale diventarono ancora più forti. Strinse i denti. Respirava lentamente. Non voleva litigare. Non voleva «sembrare debole». Non voleva diventare uno di quelli che litigano per delle sciocchezze. Ma dopo un po’ l’uomo dietro di lui iniziò anche a parlare ad alta voce al telefono, anche se l’aereo era già pronto per il decollo:

«Come spegnerlo? Lo dirò io quando avrò finito!», diceva al telefono, ignorando le richieste dell’equipaggio.

Tutti intorno a lui cominciarono a guardarlo con irritazione. Ma nessuno disse nulla. L’aereo decollò. I colpi continuarono. A volte casuali. A volte chiaramente intenzionali. Si sentiva impotente. E poi, a un certo punto, accadde ciò che fu la goccia che fece traboccare il vaso.

L’uomo dietro di lui aprì il tavolino e iniziò a mangiare un burrito comprato all’aeroporto, masticando rumorosamente e facendo cadere pezzi di cibo, poi allungò la mano in avanti e appoggiò la confezione sullo schienale del sedile davanti. Così, senza motivo. Come se fosse uno scaffale. Non era più solo maleducazione. Era umiliante. Si voltò lentamente.

«La tolga», disse a bassa voce.

«E tu cosa farai?», sorrise l’uomo, senza nemmeno ritirare la mano.

In quel momento, il vicino di posto chiamò di nuovo l’assistente di volo dall’altra parte del corridoio:

«Signorina, mi scusi, ma questo passeggero si sta comportando in modo inaccettabile».

La hostess si avvicinò. Guardò la situazione. E qui, per la prima volta, la sua voce assunse un tono severo:

«Signore, se non la smette immediatamente, redigeremo un verbale di violazione delle norme di volo. Ciò comporta una multa, l’inserimento nella lista nera della compagnia aerea e l’intervento della polizia all’arrivo».

Le risate cessarono.

«Lei… dice sul serio?», disse l’uomo con voce strozzata.

«Assolutamente», rispose lei.

Rimase seduto immobile. Per un minuto. Cinque. Quindici. Poi sussurrò piano:

«Mi scusi».

Ma non in avanti. Nel nulla. A se stesso. E il passeggero vicino al finestrino guardava semplicemente il cielo. Le nuvole erano uniformi. Tranquille. Non c’era né rumore né rabbia. E all’improvviso capì:

A volte non è necessario urlare per vincere. È sufficiente che qualcuno vicino a te non rimanga in silenzio.

 

 

dreamy-smile.com