Abbiamo comprato della carne in un negozio normale… Ma a casa, dopo aver aperto la confezione, ci siamo resi conto che ci avevano fregato. È stato davvero terribile

Tutto era come al solito. Siamo passati al supermercato mentre tornavamo a casa e abbiamo preso latte, pane e verdure. Abbiamo deciso di prendere della carne: avevamo voglia di preparare una cena “casalinga”, con il gusto di una volta. Al banco c’erano dei bei pezzi rosa, lisci e lucidi, proprio come in foto. Il venditore ci ha assicurato:

“È arrivata oggi! È tutta fresca, prendetela, non ve ne pentirete”.

L’abbiamo sigillato nella confezione originale con un bel adesivo, con una data che sembrava “corretta”. Niente di sospetto.

A casa tutto è iniziato da quel piccolo ma importantissimo momento in cui abbiamo aperto la confezione.

All’inizio l’odore era appena percettibile. Come se fosse semplicemente qualcosa di metallico, umido.

Ma più la carne rimaneva all’aria, più l’odore diventava forte e pesante.

Finché non ha colpito il naso, come un odore di cadavere, putrido, disgustoso, di quelli che ti stringono la gola. 🤢

Era chiaro: non era carne fresca.

E non era nemmeno “semplicemente rimasta lì”.

Puzzava come se fosse stata conservata per settimane.

Ma la cosa più spaventosa si è scoperta quando hanno girato il pezzo.

La parte inferiore era marrone scuro, quasi verde, appiccicosa.

Come se la parte superiore fosse stata pulita appositamente, tagliando le parti cattive, e la parte inferiore fosse stata nascosta, sapendo che a casa nessuno l’avrebbe notata subito.

E in quel momento ho capito:

Era stato fatto apposta.

Non era un errore.

Non era un caso.

Era un lotto avariato venduto intenzionalmente.

I pensieri mi turbinavano nella testa:

E se l’avessimo cucinato?

E se l’avessero mangiato i bambini?

E se l’odore non si fosse sentito subito?

Mi sentivo a disagio.

Decidemmo di tornare al negozio.

Con la busta, lo scontrino, la merce.

Alla cassa, la commessa sorrideva come al solito, finché non vide cosa c’era nella busta.

Il sorriso scomparve all’istante, come spazzato via da un’onda.

Ma lei non provò nemmeno a stupirsi.

Come se sapesse che sarebbe andata così.

«Andate dal direttore», disse con tono stanco.

Il direttore uscì, con uno sguardo freddo, severo, valutativo.

«Che cosa è successo?

L’abbiamo comprato da voi. Fresco. Guardi, è marcio.

Lei guardò e subito distolse lo sguardo, come se le fosse tutto chiaro.

«Beh, cosa volete, capita che ci siano partite diverse», disse seccamente.

«Partite?!», le sfuggì. «Ma è pericoloso per la salute!

«Potete lasciare la carne, vi restituisco i soldi».

«E basta?»

«Cosa volete?»

E in quella frase c’era tutto.

Cosa volete?

Voi non siete nessuno.

Lo rivenderemo a qualcun altro che non lo controllerà.

Quel pensiero mi ha fatto venire i brividi.

Perché lì vicino, in fila, c’erano altre persone. Compravano la stessa carne. Le stesse confezioni. Gli stessi bei adesivi.

E non sapevano che potevano vendere loro del veleno.

Abbiamo scattato una foto.

L’abbiamo pubblicata nel gruppo locale della città.

E lì è iniziato tutto.

Centinaia di commenti.

La gente ha riconosciuto quella partita.

A quanto pare, non era il primo caso.

Qualcuno ha scritto di essersi avvelenato.

Qualcuno che suo figlio aveva vomitato.

Qualcuno che il negozio “risparmiava” rinnovando lo strato superiore della carne e tagliando via la parte marcia con un coltello.

E solo allora è diventato chiaro che non bastava restituire la merce.

Bisognava avvertire.

Perché finché restiamo in silenzio, tutto questo continua.

 

 

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