L’aeroporto ronzava come un enorme alveare. La gente correva, le valigie rimbombavano sulle piastrelle, gli annunci si susseguivano: *”L’imbarco per il volo 327 sta per iniziare… »*
In questo caos abituale, pochi prestarono attenzione all’anziano signore al banco del check-in. Cappotto grigio, scarpe vecchie, cappello consumato. In mano, una piccola borsa da viaggio. Se ne stava lì tranquillo, come se non avesse alcuna fretta.
La ragazza al banco, minuta, in perfetta forma, alzò lo sguardo:
«Il suo biglietto, per favore».
Lui le porse la stampa. Lei la guardò e le sopracciglia le tremarono leggermente.
«Mi scusi, signore, ma questo biglietto è di classe business. Forse ha sbagliato?»
L’uomo sorrise dolcemente:
«No, non ho sbagliato. Questo è il mio biglietto».
Lei era confusa. Il suo sguardo scivolò sui bottoni mancanti e sulle maniche rattoppate.
Dietro di lei si era già formata una fila, le persone cominciavano a scambiarsi sguardi nervosi. Qualcuno sussurrò:
«Ma certo, il vecchio ha semplicemente sbagliato terminal…».
«O è un falso», aggiunse un altro.
La ragazza arrossì, sospirò e chiamò il responsabile.
Si avvicinò un uomo in giacca e cravatta, con un portamento impeccabile e un’espressione del viso affinata da anni di «rifiuti cortesi».
«Mi scusi, signore, ma purtroppo, secondo le norme di sicurezza, dobbiamo verificare i dettagli della sua prenotazione».
«Certo», rispose tranquillamente il vecchio. «Controlli pure».
Il manager prese il biglietto, inserì i dati nel computer e improvvisamente il suo volto cambiò espressione.
Si bloccò, sbatté le palpebre, poi guardò lo schermo, il vecchio e di nuovo lo schermo.
«È tutto… tutto corretto», mormorò. «Mi scusi, signore. È davvero il suo biglietto».
«L’avevo detto», rispose semplicemente l’uomo, «ma a quanto pare l’aspetto fisico conta ancora molto».
Si diresse tranquillamente verso l’imbarco, lasciandosi alle spalle il banco del check-in confuso e la fila che bisbigliava.
Sull’aereo la situazione si ripeté.
La hostess, giovane ed energica, notando il suo cappotto logoro, cercò automaticamente di indirizzarlo verso la coda dell’aereo.
«Signore, l’economy è dall’altra parte».
«Lo so», sorrise lui. «Posto 3A, vicino al finestrino».
Lei lo guardò sorpresa, controllò la carta d’imbarco e arrossì.
«Mi scusi, signore… è solo che… non ci ho pensato».
«Va tutto bene», rispose lui. «Ci sono abituato».
Quando l’aereo fu ritardato di 20 minuti a causa di un guasto tecnico, nell’abitacolo iniziò a diffondersi il malcontento.
La gente brontolava, qualcuno era arrabbiato, qualcuno si lamentava al telefono:
«Ma quanto tempo ci vuole, sono in ritardo per la riunione!
Che compagnia orribile, non volerò più con loro!
Le hostess correvano tra le file, i piloti non uscivano dalla cabina.
E all’improvviso quell’uomo anziano si alzò con calma, si avvicinò all’equipaggio e sussurrò qualcosa all’orecchio dell’hostess.
Lei lo guardò perplessa e un minuto dopo scomparve nella cabina di pilotaggio.
Nell’abitacolo si respirava un’aria di tensione.
Dopo un paio di minuti la porta della cabina si aprì e la hostess disse ad alta voce:
“Gentili passeggeri, il piccolo ritardo sarà presto risolto. Vi preghiamo di rimanere ai vostri posti”.
Nel frattempo l’uomo entrò nella cabina.

Cinque minuti di silenzio.
Dieci minuti di rombo dei motori.
E finalmente l’aereo si mosse dolcemente lungo la pista di decollo.
Quando il pilota si rivolse ai passeggeri, la sua voce era concitata:
«Gentili passeggeri, ci scusiamo per il ritardo. Si è verificato un imprevisto problema tecnico, ma fortunatamente è stato risolto… con un piccolo aiuto da parte di uno dei nostri passeggeri.
Tutti si voltarono.
L’uomo con il cappotto grigio tornò tranquillamente al suo posto, prese il giornale e lo aprì, come se nulla fosse successo.
La vicina di posto non resistette:
— Mi scusi… è stato lei ad aiutare? È un ingegnere?
Lui sorrise senza distogliere lo sguardo dalla lettura:
— Una volta lo ero. Lavoravo in un ufficio tecnico.
— In quale? — chiese lei.
Lui guardò fuori dal finestrino, dove stava già spuntando l’alba.
«In quello dove progettavano proprio questi aerei».
Nell’abitacolo calò il silenzio. Anche il rumore dei motori sembrava più leggero.
Ora tutti sapevano chi era quello strano vecchio.
E nessuno guardava più il suo vecchio cappotto.
Perché era proprio grazie a lui che l’aereo era decollato.
