Nessuno nella piccola città costiera di Rosenfeld sapeva che quell’alba di ottobre sarebbe entrata per sempre nella leggenda locale. La strada Strassenweg, solitamente tranquilla, con poche auto e il profumo del pane proveniente dalla panetteria all’angolo, si stava svegliando tranquillamente… finché non sbatté la pesante porta metallica del vecchio magazzino.
All’inizio tutti pensarono che fosse il vento. Ma poi… calò il silenzio. E dopo il silenzio, si udì un miagolio.
Dalla porta spalancata cominciarono a uscire uno dopo l’altro dei gatti. Non due, non cinque: solo nei primi minuti ce n’erano una cinquantina. Pelo lungo, striati, senza coda, rossi, bianchi, neri, con un occhio solo, con un orecchio morso: ognuno unico. Ma tutti si muovevano come una colonna, spalla a spalla, in direzione della strada principale della città, l’autostrada B-17.
«Lo vedi anche tu?», sussurrò la fornaia Gertrude, lasciando cadere un panino nella farina.
«Se è un sogno, non svegliarmi. Oppure, al contrario, svegliami subito», mormorò il poliziotto Jan, incredulo.
La marcia dei gatti sull’autostrada
I gatti correvano verso la strada e più si allontanavano, più diventavano numerosi. Saltavano fuori dai cortili, dai giardini, dai tetti dei garage, come se avessero ricevuto un ordine invisibile. Erano già più di un centinaio.
Le auto si fermavano una dopo l’altra. Qualcuno filmava, qualcuno imprecava, qualcuno rideva. Un automobilista suonò istintivamente il clacson e i gatti… si fermarono.
Girarono la testa come soldati. Centosessanta sguardi felini si posarono direttamente su di lui.
Smise di suonare il clacson.
I gatti ripresero a camminare.
La causa del caos: il mistero dietro la porta di ferro
Il sindaco della città convocò un consiglio straordinario. La gente aveva paura di investire i gatti, ma l’autostrada paralizzata significava ingorghi, ospedali senza medicine e consegne in ritardo.
“Dobbiamo capire da dove vengono”, disse il veterinario dottor Lorenz, l’uomo che sapeva tutto sui gatti… tranne come fermarli.
Verso sera, lui, la giornalista Emilia e l’elettricista Thomas decisero di entrare in quel vecchio magazzino.
All’interno c’era odore di pesce, fieno e… latte. Ovunque c’erano ciotole. E al centro della stanza c’era una donna anziana con un cappotto grigio, i capelli grigi raccolti in uno chignon e una grande chiave tra le mani.
“Li avete liberati?”, chiese Emilia.
“Li ho salvati”, rispose la donna. «La gente li abbandona. Io li raccolgo. Ormai sono centinaia. Ma dovevano vedere il sole. Almeno per un giorno».
Come la gente ha cercato di fermare l’esercito peloso
Le sirene non sono servite. I gatti hanno solo abbassato le orecchie e hanno continuato a camminare.
Bastoni e reti: un fallimento. I gatti hanno aggirato abilmente gli ostacoli.
Il cibo si rivelò la chiave. Un ragazzo, Leon, uscì sulla strada con una ciotola di tonno. Si fermarono. Uno. Poi un altro. Poi tutta la colonna.
La città iniziò a mettere ciotole di cibo lungo i marciapiedi, allontanando i gatti dalla strada. I volontari sistemavano le gabbie di trasporto, i veterinari visitavano gli animali. Il caos si trasformò lentamente in ordine.
Un finale che nessuno si aspettava
Una donna del magazzino disse:
“Ora sono vostri. Volevate fermarli. Ora provate ad amarli”.
Il sindaco annunciò:
“Operazione ‘Evacuazione miagolante’: un rifugio per ogni gatto”.
All’inizio della settimana successiva:
143 gatti avevano trovato una nuova casa.
27 erano rimasti al rifugio.
E solo uno, rosso con il petto bianco, continuava a venire ogni giorno alla porta del magazzino. Aspettava.
Chi, nessuno lo sapeva.

