I venti invernali in quelle steppe erano spietati. Arrivavano all’improvviso, con un ululato rauco, neve pungente e un freddo tale da far crepitare gli alberi. Lontano dalla strada, tra un fienile sbilenco e cespugli ghiacciati, giaceva lei.
Era un cane magro, con gli occhi infossati, senza zampe anteriori. Il suo corpo era quasi invisibile a causa della neve. Tremava, ma non si muoveva, respirava solo affannosamente, coprendo con il proprio corpo qualcosa di piccolo che emetteva un flebile piagnucolio.
Sotto il suo corpo c’erano quattro cuccioli. Piccoli, caldi batuffoli di lana si stringevano al suo petto, nascondendo il naso nella calda pelliccia, senza capire che la madre stava trattenendo il dolore con le ultime forze. Non poteva alzarsi, non poteva scappare, non poteva procurarsi da mangiare. Ma poteva coprirli con il suo corpo dal vento, dagli sciacalli e dal freddo notturno.
Come l’hanno trovata
Alla periferia del villaggio vivevano una coppia, Marina e Ben. Non erano volontari, semplicemente ogni mattina andavano nella foresta a raccogliere legna. Quel giorno Marina si fermò improvvisamente e disse:
«Hai sentito?
Cosa?
Un pianto… ma non di un bambino. Sembrava… di cuccioli.
Seguirono il suono. Dietro un cumulo di rami spezzati videro una macchia scura, quasi congelata nella neve. Si avvicinarono e Marina si coprì la bocca con la mano.
Il cane alzò la testa. Nel suo sguardo non c’era né rabbia né supplica, solo una richiesta: «Non toccateli». Ringhiò piano, ma non per paura, bensì per il desiderio disperato di proteggere i cuccioli fino alla fine.
Marina si inginocchiò.
«Piccola… ma tu… senza zampe… Signore…
Le zampe anteriori erano state mozzate, come se fossero state strappate da una trappola o da un’auto. Le ferite erano già vecchie, congelate, ma il corpo era gonfio per l’infezione. Eppure lei era viva. Viveva solo per loro.
Il villaggio si divise
La portarono a casa su una coperta. I vicini uscirono, alcuni con una teiera, altri con una croce.
«Bisogna spararle, sta soffrendo».
«Prendiamo i cuccioli e lei… che se ne vada in pace».
«Non fatela soffrire! È una madre!»
Marina riusciva a malapena a trattenere le lacrime. Ben adagiò la cagna con i cuccioli sulla paglia calda e portò dell’acqua. Lei non bevve, finché non diedero da bere ai cuccioli.
Di notte iniziò il peggio
La neve si fece più intensa. Il vento ululava. Nel fienile regnava il silenzio, finché all’improvviso… la cagna alzò la testa e ringhiò. Silenziosamente, con voce sorda, dal profondo del petto.
Ben prese una lanterna, uscì e vide delle macchie di sangue all’ingresso. Come se qualcuno avesse cercato di avvicinarsi ai cuccioli durante la notte e non se ne fosse andato a mani vuote.
Il cane giaceva immobile, ma aveva il naso insanguinato e i denti rotti. Aveva lottato con qualcuno, senza zampe, a pancia in giù, aggrappandosi con i denti.
Ma i cuccioli erano illesi.
Il mattino cambiò tutto
Quando il sole sorse, i cuccioli non piangevano più: dormivano profondamente, rannicchiati contro il suo pelo. E lei… giaceva immobile. I suoi occhi erano aperti e c’era qualcosa di strano in essi: come un senso di sollievo.
Ma quando Marina le toccò il fianco… il cane inspirò bruscamente. Era viva. Guardava dritto davanti a sé, con chiarezza, come se volesse dire qualcosa a qualcuno.
E proprio in quel momento, quando le persone decisero di aiutare, quando le mani si protesero verso i cuccioli… accadde qualcosa di cui poi nessuno parlò ad alta voce.
Alcuni sono ancora convinti: non era solo un cane.
Qualcuno dice che stava cercando di avvertire.
Qualcuno sussurra che quello che è stato trovato sotto di lei… sarebbe stato meglio che fosse rimasto nella neve.


 
            




