Il bambino si è rifiutato di entrare nell’ascensore: un minuto dopo la cabina è precipitata

Quando ripenso a quel giorno, mi tremano ancora le mani. Io e mio figlio stavamo andando a trovare mia sorella, al 14° piano di un nuovo complesso residenziale. Una serata normale: la borsa della spesa, la guardia all’ingresso, l’odore di vernice fresca nell’androne. Nulla faceva presagire il peggio.

Santiago, mio figlio di 7 anni, di solito è tranquillo, serio per la sua età. Ma davanti all’ascensore si è fermato all’improvviso.
“Mamma, prendiamo le scale…” disse sottovoce.
“Santi, sei stanco? 14 piani a piedi?” sorrisi.

Ma lui non sorrideva. Mi teneva semplicemente per mano e scuoteva forte la testa.

L’ascensore arrivò. Aprì le porte.
All’interno non c’era nulla di insolito: i pulsanti brillavano, la lampadina era accesa.
Ma mio figlio indietreggiò e sussurrò:
«Mamma, ti prego. Non entrare… non adesso».

Sospirai e decisi di non discutere. Forse aveva paura degli spazi chiusi? O aveva visto un video spaventoso? Va bene.
Ci siamo allontanati verso le scale. Nell’ascensore sono entrati altri: un uomo con dei fiori, una ragazza con un passeggino e una coppia di anziani.

Ho solo detto:
«Andiamo avanti, Santos, mi stai stancando…».

E un minuto dopo si sentì un rumore.

Un rumore che non dimenticherò mai. Un rombo metallico, uno stridio, un urlo.
E poi… il silenzio. Un silenzio terrificante. Assordante.

La gente cominciò a correre fuori dai piani, qualcuno gridò:
«L’ascensore è precipitato!»

Più tardi ci dissero che si era rotta la fune principale, era scattato il sistema di emergenza, ma la cabina aveva comunque sbattuto contro il piano tecnico. Nessuno era morto, per miracolo. Ma le ferite erano gravi.

Io stavo lì, stringendo a me mio figlio. Lui non piangeva. Disse solo sottovoce:
«Mamma… era pericoloso lì. L’ho sentito.”

I pompieri, i medici, la polizia… era tutto un gran trambusto.
Quando tutto finì, quell’uomo con i fiori mi si avvicinò, tutto fasciato. Mi chiese:
“Perché non siete saliti sull’ascensore?”
Guardai mio figlio.
“È stato lui. Lui… non ha voluto.”

L’uomo guardò il bambino, poi me. E disse:
«Lo protegga. Questi bambini… sentono meno, ma vedono più lontano di noi».

La sera mio figlio venne a dormire nella mia camera. Gli accarezzai i capelli e gli chiesi sottovoce:
«Santi… perché non sei entrato?»

Ci pensò un po’ su. E disse:
«Non lo so. È solo che… il mio cuore mi ha detto di no».

Da allora, se Santiago dice «non farlo», io lo ascolto. Anche se tutti intorno dicono che è una sciocchezza.
Perché a volte Dio non parla con tuoni, né con segni… Ma con voce sommessa attraverso un bambino.

 

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