Non avrei mai pensato che una semplice porta potesse incutere così tanta paura. Ma tutto è iniziato dal momento in cui l’ho vista per la prima volta: una bambina con un cappotto grigio, due sottili treccine e un vecchio peluche in mano. Se ne stava semplicemente davanti alla mia porta e la guardava, senza suonare il campanello. Poi si voltava di scatto e scappava via.
Vivo in una casa privata alla periferia della città. I vicini sono lontani, la strada è tranquilla. All’inizio ho pensato che si fosse sbagliata di indirizzo. Ma il giorno dopo è successo di nuovo. Al mattino. E di nuovo: uno sguardo alla mia porta, il peluche stretto tra le mani e la fuga.
Il terzo giorno la stavo già aspettando. Ho sentito dei passi leggeri sulla ghiaia, ho guardato fuori dalla finestra: era di nuovo lì. In piedi. A guardare. È rimasta lì per un minuto. Poi è scappata via. E ogni volta in silenzio.
Il quarto giorno non ho resistito. Ho aperto la porta, ma la bambina è subito scappata via. Ho gridato:
«Aspetta! Vuoi qualcosa?».
Si è fermata solo al cancello. Si è voltata. Mi ha guardato come se chiedesse aiuto, ma allo stesso tempo ne avesse paura. Ma non ha detto una parola.
Ho deciso di non toccarla. Forse era un gioco? Forse i suoi genitori erano lì vicino? Ma quando il quinto giorno è tornata di nuovo, sotto la pioggia, con le scarpe bagnate, non ho resistito. Sono uscita e le ho detto sottovoce:
«Non ti farò del male. Se hai bisogno di aiuto, basta che me lo dici».
E lei parlò per la prima volta. A malapena udibile:
«E… zia… la tua porta… è uguale».
Non capii:
«Come, uguale?»
Lei abbassò lo sguardo:
«Come la sua».
Il giorno dopo chiamai la polizia. Sì, forse sembrava stupido: «Una bambina è davanti alla mia porta». Ma dentro di me sentivo che non si trattava solo di un gioco da bambini.
Arrivarono i poliziotti e parlarono con lei. La bambina rimase in silenzio. Stringeva solo forte il suo giocattolo, un coniglio logoro con un occhio solo. Riuscirono a scoprire solo il suo nome: Mila. 4 anni.
Quando la riportarono a casa, sentii la conversazione e capii tutto. Sua madre… era scomparsa due mesi prima. Era uscita la mattina per andare al lavoro e non era più tornata. Avevano trovato solo il suo telefono nel bosco, non lontano da lì. Il padre beveva e non la cercava. Quasi nessuno si era accorto della bambina.
E ora la cosa più terribile.
Si scoprì che la casa dove vivevano prima era quasi identica alla mia. La stessa porta. La stessa urna vicino al portico. Persino lo stesso gradino sinistro rotto. La bambina andava lì ogni giorno… e bussava. E se la mamma avesse aperto?
Ma poi si sono trasferiti, hanno venduto la casa. E lei ne ha trovata una simile. La mia. E continuava a sperare: e se la mamma fosse qui?
Non sapevo cosa dire. Era seduta nella mia cucina, si scaldava le mani con una tazza di tè e sussurrava:
“Deve essere da qualche parte… vero?
E la sera, quando i poliziotti se ne andarono, lasciò il suo coniglio davanti alla porta. E disse:
“Se mamma torna, dateglielo… dormiva sempre con lei.
Rimasi lì in piedi e non riuscii a trattenere le lacrime.
Una settimana dopo trovarono davvero la mamma di Mila. Non viva. In un vecchio pozzo fuori città. La cercarono a lungo. La trovarono per caso, quando una donna del posto si lamentò dell’odore.
I poliziotti non lo dissero subito alla bambina. Vennero da me perché sapevano che lei sarebbe tornata qui.
Le diedi la notizia io stessa. Silenziosamente. Senza troppe parole. Lei ascoltò e rimase in silenzio. Poi si avvicinò alla porta e vi appoggiò delicatamente la mano.
«Continuerò a venire comunque», disse. «E se… e se lei mi sentisse?».
Da allora, ogni tanto viene davvero. Si siede sui gradini. Sta in silenzio. Io non la mando via.
E ogni volta che se ne va, vedo quel coniglio nella fessura sotto la porta. Quindi c’era.
E improvvisamente credo che le madri… anche se se ne vanno, trovano comunque la strada per tornare dove le aspettano.

