Emma sussultò per il freddo e la luce intensa. Erano le 6:02 del mattino. La coperta era già sul pavimento e sopra di lei, con le braccia sui fianchi, c’era sua suocera Margaret. La sua voce era fredda e dura come il metallo:
«Alzati, pigrona. Ho fame! Quanto tempo pensi di stare a letto?! Tuo marito è a casa e tu stai ancora dormendo!
Emma coprì meccanicamente il ventre. Era al sesto mese di gravidanza, aveva passato una notte insonne a causa del mal di schiena… e ora ricominciava. Accanto a lei dormiva suo marito, Lucas. Non si era nemmeno svegliato: sua madre si comportava come una regina in casa loro, le permetteva tutto.
«Margaret… sto male… non ho quasi dormito…» sussurrò Emma.
«La gravidanza non è una malattia! Ho partorito tre figli e continuo a lavorare sodo. Tu invece dormi e ti autocommiseri. Alzati, prepara la colazione!»
Emma si alzò lentamente, con le gambe tremanti. In cucina stava tagliando il pane quando sentì che l’aria sembrava essere scomparsa. Rumore nelle orecchie, stelle davanti agli occhi.
Margaret, in piedi davanti ai fornelli, disse pigramente:
«E niente scenate, chiaro? Respira profondamente e lavora. Mi piacciono le uova non troppo cotte.
Emma voleva rispondere… ma invece le piatti le caddero dalle mani. Il piatto si ruppe. Si appoggiò al tavolo e scivolò lentamente verso il basso.
«Oh, ci risiamo! Sta fingendo di nuovo!», sbuffò la suocera.
In quel momento Lucas apparve sulla porta. Assonnato, spettinato, ma con qualcosa di nuovo negli occhi.
«Che succede qui?
Margaret agitò la mano:
«Tua moglie è di nuovo a terra! Ho fame, non ho ancora partorito e lei già si contorce!
«Basta.
Quel «basta» suonò in modo tale che entrambe tacquero.
Lui sollevò Emma e la mise su una sedia.
«Non ti senti bene? Respira, sono qui con te».
«Lucas! Non osare parlarmi in questo modo! Sono tua madre!
E lei è mia moglie. E la madre di mio figlio.
Chiamò il medico.
Il dottor Harrison arrivò dopo 25 minuti. La pressione era molto bassa.
— Stress. Pericoloso. Ha bisogno di riposo. Niente urla. Niente lavori domestici. E niente pressioni emotive.
Margaret era pallida. Il dottore la guardò severamente:
«Se vuoi un nipote, lasciala in pace. Altrimenti informerò io stesso i servizi sociali».
Quando il medico se ne andò, nella casa calò un silenzio di tomba.
Lucas si avvicinò alla madre e per la prima volta in vita sua le disse:
«Mamma, la scelta è semplice. O vivi con noi, ma rispetti Emma. Oppure ti affitto un appartamento e viviamo separati».
Margaret si voltò. Non rispose. Ma per la prima volta non disse una parola in risposta.
La sera andò da Emma. Tra le mani aveva un vassoio con della zuppa.
«Io… non so come fare. Ma mangia. Ne hai bisogno».
Non erano scuse. Ma era un inizio.
Tre mesi dopo nacque la bambina, Sofia.
In ospedale Margaret stava in piedi vicino alla finestra, guardava la nipotina e disse sottovoce:
«Anch’io avevo paura quando ero incinta del primo. Solo che… nessuno mi proteggeva».
Emma la guardò e capì che qualcosa era cambiato.
Ora Margaret le porta il tè al mattino. Non urla. A volte la aiuta con la culla.
E una notte Emma si svegliò per un sussurro:
«Shhh, tesoro… la nonna è qui…».
Emma ricorda ancora quella mattina: il freddo, la coperta sul pavimento e le parole «alzati, pigrona».
Ma ricorda anche quando Lucas le si è presentato davanti per la prima volta.
E come finalmente è apparso un confine: nessuno ha il diritto di strappare la coperta a una donna incinta. Nemmeno se si tratta della propria madre.

