Lui lo toccò e quello si mosse. Dopo di che nessuno osò più avvicinarsi all’acqua

Il lago Silverlake era sempre sembrato tranquillo. La mattina presto l’acqua era immobile, la nebbia si stendeva sulla superficie e solo lo sciabordio dei remi rompeva la quiete.

Il contadino Daniel Hale, tornato al suo villaggio natale dopo il divorzio e la perdita del lavoro, era uscito in barca per pescare, come faceva da bambino. Gli sembrava che il lago fosse l’unico posto dove si potesse ancora respirare.

Abbassò la mano per liberare la rete che si era impigliata in un tronco… ma invece del legno le sue dita afferrarono qualcosa di freddo, pesante e stranamente morbido.

Daniel tirò e dall’acqua emerse lentamente un’enorme massa gelatinosa, simile a un groviglio di bolle e pelle trasparente. La creatura pendeva dalla sua mano, luccicando al sole, e al suo interno brillavano migliaia di piccole sfere, simili a uova o embrioni.

«Dannazione… che cos’è?» sussurrò.

La foto che scattò con il cellulare fece il giro del web in poche ore.

Il giorno dopo arrivarono al lago delle persone in tute bianche e jeep nere. Si presentarono come dipendenti dell’Agenzia ecologica, ma sulla loro attrezzatura c’erano dei simboli che Daniel aveva visto solo sui militari.

Con loro c’era la biologa dottoressa Emily Carter, una donna tranquilla dagli occhi stanchi. Esaminò il ritrovamento, ormai giunto al laboratorio della polizia di Stato, e disse solo una cosa:

«Questo… non è solo un organismo. È una struttura. Sta crescendo. Sta… aspettando qualcuno».

Sull’analogo di un microscopio si aprì un quadro:
non alghe, non uova di pesce;
cellule esagonali, disposte in una griglia perfetta, come favi d’api, ma di cartilagine proteica;
all’interno di ciascuna, un microscopico battito cardiaco.

Dopo tre giorni il lago era cambiato. L’acqua era diventata più calda. Di notte sulla superficie appariva un bagliore rossastro, come se qualcuno respirasse sotto la superficie.

I pescatori dicevano di sentire un rombo basso, simile al rumore di un motore… ma non proveniva dalla riva, bensì dalle profondità.

Daniel cominciò a sentirlo anche a casa.

E a volte anche dei sussurri.

Non parole. Solo un richiamo. La voce sorda dell’acqua.

«Lo senti anche tu?», gli chiese una volta Emily, in piedi sulla riva.
«Sì».
«Non è un richiamo di aiuto…».
«E allora cos’è?».
«Un invito».

La sesta notte la nebbia era particolarmente fitta. Daniel si svegliò con la sensazione che la casa tremasse. Corse al lago e vide:

Tutta la riva era ricoperta da un velo di bozzoli di vetro, uguali a quello che aveva tirato fuori. Solo che ora respiravano.

E dal centro del lago si alzava qualcosa di scuro, rotondo, simile al coperchio di un pozzo gigante.

Emily era in piedi sulla passerella, pallida, a piedi nudi, come se stesse camminando nel sonno. Quando Daniel cercò di fermarla, lei lo guardò con occhi vuoti e sussurrò:

«Si stanno svegliando. Non siamo i primi. E non saremo gli ultimi».

Fece un passo nell’acqua.
E l’acqua si aprì, come se fosse viva, accogliendola.

Il corpo non fu mai ritrovato. I militari se ne andarono, dichiarando il lago chiuso «a causa delle alghe tossiche».

E Daniel ogni notte sente il sussurro dell’acqua. Vede dei bozzoli trasparenti affiorare vicino alla riva. E sa che quello che ha raccolto la prima volta non era un ritrovamento. Era una sfida.

E qualcuno dalle profondità continua a rispondere.

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