All’alba l’aria sulla costa era calma e umida, come prima di una tempesta. Ma non ci fu tempesta, al contrario, il mare stava scomparendo. L’acqua si allontanava rapidamente dalla riva, lasciando dietro di sé lunghe strisce di sabbia bagnata, rocce scivolose e conchiglie luccicanti.
Gli abitanti della cittadina costiera di Saint-Clair furono svegliati da uno strano rombo. Quando uscirono sul lungomare, videro che l’oceano si era ritirato di centinaia di metri.
Dove ieri si infrangevano le onde, ora si estendeva una vasta pianura vuota, scintillante sotto il pallido sole mattutino.
“Non ho mai visto niente di simile in tutta la mia vita”, disse l’anziano pescatore Martin Doyle, con i piedi affondati nella sabbia fino alle caviglie. “L’oceano non fa cose del genere”.
Accanto a lui c’era la dottoressa Elizabeth Grey, una geologa marina che era venuta a St. Clair per una conferenza. Stava filmando la scena con la sua videocamera, incredula.
«Non è una bassa marea naturale», disse. «Qualcosa ha fatto ritirare l’acqua… troppo lontano».
Le persone scesero lentamente verso il fondale marino che si era aperto. L’aria sapeva di sale e fango, e da qualche parte sotto i piedi scricchiolavano delle conchiglie. Ma presto tutta l’attenzione fu attirata da qualcosa di strano che luccicava nella sabbia.
«Che cos’è?», sussurrò qualcuno.
Sul fondo umido giacevano migliaia di minuscoli oggetti metallici, simili a sfere, cilindri e spirali in miniatura. Brillavano come se fossero stati appena lucidati. Alcuni emanavano una debole luce bluastra, altri pulsavano come se respirassero.
Elizabeth si inginocchiò e ne raccolse uno. Era freddo, perfettamente liscio e leggero.
«Non è un prodotto naturale», disse sottovoce. «È qualcosa di artificiale».
Martin aggrottò la fronte.
«Forse sono parti di una nave?
«Nessuna nave potrebbe lasciare tracce del genere», rispose lei. «Sono… troppo piccole e troppo precise».
A mezzogiorno tutta la spiaggia era piena di gente. Alcuni raccoglievano strani oggetti nei secchi, altri giravano video, mentre i bambini giocavano lanciando palline luminose sulla sabbia. Ma più il sole rimaneva sull’orizzonte, più cresceva la sensazione che qualcosa non andasse.
Un bambino di nome Oliver portò alla madre una pallina che aveva trovato e disse:
«Mamma, si muove».
La donna rise, ma quando mise l’oggetto sul palmo della mano, sentì davvero una leggera vibrazione. La pallina pulsava come se al suo interno battesse un minuscolo cuore.
Verso sera, Elizabeth e Richard Crane, un insegnante di fisica locale, installarono uno spettrometro portatile. I risultati mostrarono l’impossibile:
«All’interno di questi oggetti… non c’è metallo», disse guardando lo schermo. «Ma riflettono il campo elettromagnetico come se “capissero” di essere studiati».
«Capiscono?», chiese Richard. «Vuoi dire che sono vivi?».
«Non lo so», sussurrò lei. «Ma reagiscono».
Durante la notte il mare rimase immobile. La gente accese dei falò e non si allontanò, come se aspettasse che succedesse qualcos’altro. Alla luce del fuoco, la pianura sabbiosa brillava di migliaia di minuscole luci.
E poi cominciarono a muoversi.
All’inizio in modo appena percettibile, come se fosse la sabbia stessa a muoversi. Poi più velocemente. I piccoli oggetti tremavano, ruotavano, si univano tra loro. Si formavano delle linee, poi delle spirali, poi delle figure simili a reti o motivi.
«Oh mio Dio…», sussurrò Martin. «Stanno costruendo qualcosa».
Elizabeth accese la torcia. Davanti a lei, sulla sabbia, stava lentamente crescendo una struttura liscia, iridescente, quasi trasparente. Sembrava una cupola composta da migliaia di sfere collegate tra loro, che pulsavano all’unisono come un unico essere vivente.
«È… un meccanismo», sussurrò Richard. «O un organismo».
La gente corse in preda al panico verso la riva, qualcuno gridava, qualcuno filmava l’accaduto con il cellulare. Ma nessun segnale andò a buon fine: la connessione era interrotta.
Poi dal sottotetto si levò un suono basso, vibrante, come una voce che proveniva direttamente dalle profondità dell’oceano. La terra sotto i piedi tremò. E nello stesso istante all’orizzonte apparve un muro d’acqua.
«Uno tsunami!», gridò qualcuno.
Elizabeth riuscì solo a voltarsi. La cupola brillò per un attimo di una luce accecante e poi scomparve, come se si fosse dissolta nell’aria.
Quando l’onda si abbatté sulla riva, il mare portò via tutto. Persone, tende, tracce, sfere luminose….
Il mattino seguente, quando l’acqua tornò, la spiaggia era deserta. Solo sulla sabbia bagnata erano rimaste tracce appena visibili, simili alle impronte di centinaia di minuscoli esseri che tornavano al mare.
Elizabeth si svegliò più tardi, su una roccia sopra la costa. Nella sua mano c’era una piccola pallina che pulsava debolmente dall’interno.
Lo guardava senza battere ciglio.
“Pensavamo che il mare si fosse ritirato”, disse piano. “Ma in realtà… ci ha solo permesso di guardare”.

