Quando Leo Martens è nato, i medici hanno detto alla madre: “Non potrà mai condurre una vita normale”.
Non aveva le braccia. Per alcuni poteva sembrare una condanna, ma non per lei. “Potrà fare tutto. Solo in modo diverso”, disse lei, stringendo il figlio a sé.
Leo è cresciuto in una piccola città della Germania. Era un bambino curioso, sorridente, intelligente, ma sempre un po’ in disparte rispetto agli altri. Quando i suoi compagni di classe imparavano a scrivere, lui imparò a tenere la matita tra le dita dei piedi. Quando loro andavano in bicicletta, lui guidava una tavola fatta in casa con le ruote. Era abituato a essere guardato con compassione.
Ma un giorno, quando aveva sette anni, sua madre lo portò alla scuola di musica. Lì c’era un pianoforte, nero e lucido come uno specchio. Leo guardò a lungo i tasti. «Posso provare? ” chiese. L’insegnante era perplessa:
“Ragazzo, questo non è un giocattolo. È difficile anche per chi ha due mani”.
“Ci provo”.
Si sedette, allungò le gambe e… premette goffamente due note. Suonarono in modo maldestro, ma nei suoi occhi si accese una scintilla.
Da allora il pianoforte divenne il suo universo. Veniva nella sala la mattina presto, quando la scuola era vuota, e imparava a premere i tasti con le dita dei piedi. All’inizio era doloroso: le articolazioni si irrigidivano, i muscoli bruciavano, ma lui non si arrese.
Ascoltava i suoni, imparava a sentire il ritmo, regolava i pedali.
Passarono gli anni. Suonava scale, melodie semplici, poi Bach, Mozart, Chopin. All’inizio tutti ridevano, poi si meravigliavano. La musica divenne il suo linguaggio. 🎵
La mamma spesso sedeva accanto a lui, su una vecchia sedia, e sussurrava: “Suona, figlio mio. Che tutto il mondo senta il suono della forza”.
Un giorno, un produttore di un festival musicale arrivò nella loro città. Aveva sentito parlare di un ragazzo senza braccia che suonava con i piedi e propose a Leo di esibirsi. Lui rifiutò a lungo. “Non sono un artista. Sono solo… un amante della musica”. Ma la mamma insistette.
Il concerto registrò il tutto esaurito. Quando il presentatore annunciò: “Sul palco Leo Martens. L’uomo che suona senza mani”, nella sala calò il silenzio.
Leo uscì. Senza imbarazzo, senza autocommiserazione. Si sedette al pianoforte, inspirò e posò i piedi sui tasti. Il primo accordo suonò timidamente. Il secondo, più sicuro. Dopo un minuto, tutta la sala era in ascolto. Non stava semplicemente suonando una melodia, stava raccontando una storia: di dolore, fede, amore e libertà.
Il pubblico piangeva. Alcuni si coprivano la bocca con la mano, altri riprendevano la scena con il cellulare, increduli che fosse reale.
E la mamma era seduta in prima fila, stringendo il fazzoletto e sussurrando: “Il mio ragazzo… ce l’hai fatta”.
Quando l’ultima nota si è spenta, la sala si è alzata in piedi. Gli applausi sono continuati per diversi minuti. Leo sorrideva semplicemente, non al pubblico, ma a se stesso. Aveva dimostrato ciò che voleva fin dall’inizio: non esistono limiti quando l’anima canta.