Emma e David vivevano già da sei mesi nel loro furgone.
Un tempo era un’ambulanza, ora — la loro casa.
Pareti bianche, una mensola di legno, una ghirlanda sul soffitto, una macchinetta del caffè, un piccolo fornello a gas e una vista dal finestrino che cambiava ogni giorno.
Viaggiavano senza orari, senza piani, senza certezze.
A volte — di notte attraverso il deserto. A volte — all’alba lungo il mare.
A volte si fermavano solo per ascoltare il vento che frusciava nei campi.
Emma teneva un blog di viaggi, David filmava tutto con la videocamera.
Non cercavano l’avventura — ma sembrava che fosse l’avventura a trovare loro.
Quella mattina salivano verso le montagne, dove iniziava il passo.
La strada era stretta, bagnata dopo la pioggia, e l’aria — limpida e fresca.
Emma aveva messo la musica, David beveva il caffè e canticchiava, finché lei non disse improvvisamente:
— Aspetta… Fermati!
— Cosa c’è? — chiese lui.
— Mi sembra che ci sia qualcuno là…
Sul ciglio della strada, tra le foglie bagnate, qualcosa si mosse.
Si fermarono, David scese — e rimase immobile.
Sotto un cespuglio sedeva un minuscolo gattino rosso — sporco, con il pelo arruffato e gli occhi enormi.
Non scappò. Guardava soltanto — e tremava.
Emma saltò fuori dal furgone, si inginocchiò e tese dolcemente la mano:
— Ciao, piccolo… Cosa ci fai qui tutto solo?
Il gattino fece un passo — e subito cadde.
David si tolse rapidamente la giacca, lo avvolse e lo portò nel furgone.
— Non possiamo lasciarlo, — disse Emma, versando un po’ di latte nel tappo del thermos.
— E non lo lasceremo, — rispose lui. — Solo… temporaneamente. Finché non troviamo un rifugio.
Il gattino beveva così avidamente che gli rimasero dei baffi bianchi di latte sul muso.
Emma rise:
— Guarda come sei! Proprio come un piccolo tigre.
Lo chiamarono Roadie — dalla parola road, strada.
Roadie si abituò in fretta. Dopo pochi giorni dormiva già sul cruscotto, faceva le fusa al mattino e osservava la strada come un vero capitano.
A volte si sdraiava direttamente sulla mappa, come se fosse lui a scegliere il percorso.
— Dove andiamo oggi? — chiedeva Emma.
Il gattino toccava con la zampa un punto a caso, e loro andavano lì.
Dopo una settimana, in Italia, il furgone si spense proprio accanto a un piccolo villaggio.
Scendevano, ridevano, aspettavano aiuto.
In quel momento Roadie uscì in strada — e… scomparve.
— Roadie! — gridò Emma.
— Forse è solo andato a fare una passeggiata, — cercò di calmarla David, ma la sua voce tremava.
Percorsero tutto il villaggio.
Alla fine, sulla piazza, vicino alla fontana, lo videro — bagnato, ma felice. Attorno a lui c’erano bambini che lo nutrivano con pezzi di pane.
Roadie faceva le fusa, come se stesse raccontando una storia.
Emma rise tra le lacrime:
— Ecco la star. Adesso ti conoscono tutti.
— È perché sente dove le persone hanno bisogno di un po’ di calore, — disse un ragazzino.
Da allora Roadie divenne il vero simbolo dei loro viaggi.
Non filmavano più solo paesaggi — ogni luogo aveva la sua storia.
In Grecia Roadie fece amicizia con cani randagi.
In Austria si sedeva sul tetto del furgone e guardava la neve cadere.
In Spagna sparì per qualche ora e tornò con un nastro al collo — qualcuno glielo aveva legato per gentilezza.
Smetterono di chiedersi dove andare dopo.
Ora andavano dove guardava prima il gatto.
Una sera, al tramonto, Emma disse:
— Sai, penso che non sia apparso per caso.
David annuì:
— Certo. A volte è la strada stessa a decidere chi metterti accanto.
I tre sedevano davanti al furgone — Emma, David e il gatto rosso dagli occhi color ambra, che faceva le fusa con le montagne e il tramonto sullo sfondo.
E in quel momento sembrava che tutto il mondo stesse dentro un vecchio furgone e tre cuori.