Il padre ha lasciato la sua famiglia durante un viaggio

Doveva essere un’estate perfetta.

La prima vacanza in famiglia dopo diversi anni: mare, sole, lunghe passeggiate sul lungomare, profumo di crema solare, risate e foto sullo sfondo del tramonto.

Il padre aveva organizzato tutto da solo. Aveva comprato i biglietti, prenotato l’alloggio, preparato una lista di cose da portare per ciascuno, controllato i documenti.

Era sempre stato un uomo ordinato.

Precisione, responsabilità e calma: le sue tre qualità immutabili.

“Questa volta sarà tutto perfetto”, disse, riponendo con cura i biglietti nelle buste.

Mamma sorrise:

“L’importante è che tu non dimentichi nulla”.

Lui sorrise:

“Beh, questo non è certo il mio caso”.

La mattina della partenza iniziò con la solita frenesia.

Valigie, borse, panico per il caricabatterie smarrito, occhiali dimenticati, grida provenienti da diverse stanze.

Papà, come sempre, era il più calmo. Controllò gli orari dei treni, chiamò un taxi, aiutò a portare le cose in macchina.

Alla stazione c’era rumore e afa. La gente correva, l’altoparlante annunciava l’imbarco, c’era odore di caffè e ferro.

Mamma teneva in mano un thermos con il tè, i bambini mangiavano croissant, ridevano, discutevano su chi sarebbe andato per primo a fare il bagno.

Papà tirò fuori i biglietti dalla tasca interna e li distribuì a tutti:

«Questo è il tuo, questo è il tuo… questo è il nostro comune», disse, controllando che fosse tutto a posto.

Quando annunciarono l’imbarco, tutti cominciarono a sbrigarsi.

E all’improvviso lui si bloccò.

Controllò di nuovo le tasche. Poi la borsa. Poi ancora una volta.

Sul suo volto apparve un’espressione confusa.

«Non può essere», disse sottovoce. «Ho dimenticato il mio biglietto a casa».

La mamma si fermò.

«Come hai fatto a dimenticarlo? Hai controllato tutto!»

Lui alzò le spalle:

«Probabilmente l’ho lasciato sul tavolo. Non preoccupatevi, torno subito. Prenderò un taxi, andrò a prendere il biglietto e vi raggiungerò.

«Ti aspetteremo», disse il figlio. «Abbiamo ancora dieci minuti».

Ma il padre scosse la testa:

«No. Se aspettate, arriverete in ritardo. Io vi raggiungerò comunque. Andate pure».

Parlava con calma, con tale sicurezza che nessuno osò contraddirlo.

Quando il treno partì, i bambini lo salutavano dal finestrino. Lui era sul binario, con la mano alzata e un sorriso sulle labbra.

Le prime ore di viaggio trascorsero allegramente.

Tutti discutevano dei programmi, scherzavano, fotografavano il panorama dal finestrino.

Ma più il treno si allontanava, più il silenzio calava all’interno.

La mamma controllava continuamente il telefono, ma non c’erano chiamate.

Lui scrisse solo la sera.

Brevemente e semplicemente:

“Siete partiti in tempo. Va tutto bene. Abbiate cura l’uno dell’altro. Papà”.

La mamma rilesse il messaggio più volte.

“Siete partiti”… ripeté sottovoce. “Perché non ‘noi’?”

Solo più tardi, una volta arrivati a destinazione, mentre i bambini giocavano sulla spiaggia, lei disse la verità.

Lui non aveva dimenticato il biglietto.

L’aveva lasciato apposta.

Negli ultimi mesi sembrava stanco. Spesso rimaneva al lavoro fino a tardi, mangiava poco e sempre più spesso la sera si sedeva alla finestra, guardando in silenzio verso l’orizzonte.

Diceva che avevano bisogno di riposarsi. Di passare del tempo insieme. Senza fretta. Senza di lui.

Sapeva che se lo avesse detto chiaramente, nessuno avrebbe accettato di partire.

Quindi fece semplicemente finta di essersi sbagliato.

La sera la famiglia era seduta sul balcone. Dal mare soffiava un vento caldo che profumava di sale e gelsomino.

La mamma guardava il tramonto e disse sottovoce:

«Non è rimasto perché ha dimenticato il biglietto. Ma perché voleva che imparassimo di nuovo a stare insieme».

La figlia minore sussurrò:

«È comunque con noi. Solo su un altro binario».

Nessuno rispose.

Ma tutti sapevano che era vero.

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