Sara era una donna che notava tutto. Notava quando i vicini cambiavano le tende, quando il suo barista si faceva un nuovo taglio di capelli, quando il suo cane se ne stava seduto a guardare il muro senza motivo. Non era paranoica, era solo osservatrice. Per questo fu la prima a notare che la sua ombra… non era come al solito.
Tutto iniziò in modo impercettibile. Un pomeriggio stava tornando a casa e il sole al tramonto allungava la sua silhouette sul marciapiede. Ma la sua ombra non era sincronizzata con i suoi passi. Era in ritardo di mezzo secondo, quasi come un video difettoso. Lei sbatté le palpebre, si fermò e rise di sé stessa.
Forse era stanca. Forse era un gioco di luce.
Ma il giorno dopo si ripeté.
Quando salutò con la mano un suo amico dall’altra parte della strada, la mano della sua ombra si alzò più lentamente e poi si bloccò, con le dita piegate in un angolo innaturale. Fu percorsa da un brivido.
Nel corso della settimana successiva il divario aumentò. La sua ombra non ripeteva più i suoi movimenti con precisione. A volte la sua testa si inclinava nella direzione sbagliata. A volte, quando lei stava ferma, si muoveva come se si guardasse intorno.
Una sera Sarah era seduta sul letto e la lampada proiettava la sua silhouette sul muro. La sua ombra alzò la mano, anche se lei non si era mossa. Si bloccò. La mano indicò il suo comodino.
Con il cuore che le batteva forte nel petto, aprì il cassetto. All’interno trovò una vecchia fotografia che non ricordava: un ritratto di famiglia, sbiadito e strappato. I volti erano simili al suo, ma non del tutto. Lei era nella foto… solo più giovane, in piedi accanto a persone che non aveva mai incontrato.
Quella notte la sua ombra scrisse sul muro. Non con l’inchiostro, non con dei graffi, ma con delle figure che si piegavano a formare delle lettere. «VAI VIA».
Sara trattenne il respiro. Andare via da cosa? Andare via da chi?
Il giorno dopo la sua ombra divenne più audace. In cucina si allungò in lunghezza e in altezza, indicando la finestra, come per avvertirla. Quando guardò fuori, le sembrò di vedere qualcuno in piedi dall’altra parte della strada che la osservava. Ma quando sbatté le palpebre, lui non c’era più.
Non lo disse a nessuno. Come avrebbe potuto? “La mia ombra è viva” non è qualcosa che si può confessare senza sembrare pazzi.
E poi arrivò la notte che cambiò tutto.
Era tardi, la casa era silenziosa e Sara stava chiudendo la porta sul retro. La luce della veranda brillava alle sue spalle, proiettando la sua silhouette sul terreno. Ma questa volta, quando fece un passo avanti, la sua ombra non si mosse. Rimase sulla soglia, allungata e immobile, come una persona che si rifiuta di entrare.
«Dai…» sussurrò, metà scherzando, metà supplicando.
L’ombra chinò la testa. Poi si voltò… e se ne andò.
Sara sentì le ginocchia cedere. Guardò la sua ombra separarsi completamente, mentre si allontanava nell’oscurità, lasciando il suo corpo freddo e insopportabilmente leggero, come se qualcosa di importante fosse stato strappato via da esso.
Per la prima volta nella sua vita, non proiettava ombra.
E la mattina dopo, quando sorse il sole, notò qualcosa di terrificante.
Il contorno scuro che seguiva il suo vicino… non era loro.
Era suo.