Klara prendeva il treno alle 8:05 ogni mattina da quando aveva iniziato il nuovo lavoro. La routine era noiosa e prevedibile: lo stesso vagone affollato, lo stesso sfogliare il telefono, le stesse immagini sfocate di passeggeri stanchi.
Fino a un martedì mattina.
Si sedette su un posto vuoto accanto a un uomo anziano che sfogliava un piccolo taccuino consumato. Niente di insolito, finché lo sguardo di Clara non scivolò verso il basso e si fermò sulla calligrafia.
Il suo cuore si strinse.
Era la sua calligrafia.
Non solo simile. Identica.
L’uomo stava leggendo il suo diario di bambina, quello che lei nascondeva in una scatola da scarpe sotto il letto, finché non lo aveva buttato nella spazzatura molti anni prima.
Clara si chinò più vicino, con la gola secca. Sulla pagina vide le parole che ricordava di aver scritto a otto anni con caratteri storti: «Oggi ho pianto perché la mamma si è dimenticata di venirmi a prendere a scuola».
Le sue mani tremavano. «Dove l’ha preso?» sussurrò.
L’uomo non alzò lo sguardo. «Bella storia», disse con calma, voltando un’altra pagina.
«È mio», balbettò Clara. «È personale».
L’uomo alzò lentamente lo sguardo, i suoi occhi erano penetranti e stranamente familiari. «Personale? Me l’hai dato tu stessa».
Clara sentì lo stomaco contrarsi. «No, non te l’ho dato! Ho buttato via quel diario molti anni fa!»
Lui sorrise debolmente. «Lo so. È così che l’ho trovato».
Senza darle il tempo di dire una parola, girò l’ultima pagina. Clara sentì il battito accelerare nelle orecchie.
L’ultima annotazione non risaliva alla sua infanzia. Era datata oggi.
E la sua stessa calligrafia recitava:
«Sul treno del mattino ero seduta accanto a un uomo che sapeva tutto di me».
Clara sbatté le palpebre per lo shock, il suo respiro divenne superficiale. Alzò lo sguardo, ma l’uomo non c’era più.
Il posto accanto a lei era vuoto.
Il diario giaceva aperto sulle sue ginocchia.