Il bambino di 10 anni che tutti prendevano in giro risolse il mistero che aveva lasciato perplesso l’intero quartiere

Tommy aveva dieci anni e tutti lo conoscevano come “il bambino detective”. Portava sempre con sé un piccolo taccuino, indossava il vecchio berretto di suo nonno e faceva sempre troppe domande. I suoi amici lo prendevano in giro. Anche gli adulti sorridevano educatamente quando lui insisteva nel dire che poteva “risolvere qualsiasi caso”.

Ma poi accadde qualcosa che diede a Tommy la sua occasione.

Il cane amato dalla signora Henderson, Max, era scomparso. Un giorno era in giardino, il giorno dopo non c’era più. Furono affissi volantini, i vicini cercarono nei boschi e ognuno aveva la propria teoria. Alcuni dicevano che fossero stati i coyote. Altri sussurravano che fossero stati dei ladri.

Tommy ascoltava attentamente. E invece di cercare nei boschi come tutti gli altri, iniziò a guardare più da vicino.

Fu allora che le vide: impronte di zampe sfocate e sporche di fango che si allontanavano dal cancello degli Henderson. Ma le impronte non conducevano nella foresta. Andavano nella direzione opposta, attraverso i prati e verso la strada più antica del quartiere.

Tommy si accucciò, disegnò la traccia sul suo taccuino e la seguì. Le impronte scomparvero vicino alla recinzione del vecchio signor Carter.

“Signor Carter?” sussurrò Tommy tra sé e sé. L’uomo era un solitario tranquillo, che se ne stava per lo più per conto suo. Nessuno pensò di chiedergli di Max.

Tommy si guardò intorno. Il cancello del cortile sul retro di Carter era chiuso a chiave. Ma sull’erba lì vicino, Tommy notò qualcosa di piccolo: un pezzo di stoffa rossa sfilacciata. Il guinzaglio di Max era rosso.

Il battito cardiaco di Tommy accelerò. Scribacchiò freneticamente degli appunti.

Quella notte, armato di torcia elettrica, Tommy si avvicinò di soppiatto. Si accucciò vicino al garage di Carter, premette il viso contro una fessura nella porta e si bloccò.

All’interno, una coda scodinzolava. Era Max.

La mattina seguente, Tommy presentò le sue prove: le impronte delle zampe, il pezzo di stoffa, gli schizzi sul suo taccuino. All’inizio gli adulti lo derisero. Ma quando la polizia controllò, Max era lì, illeso ma chiuso nel garage.

La verità venne a galla: il signor Carter non aveva rubato il cane per crudeltà. Il suo cane era morto anni prima e la solitudine lo aveva distrutto. Quando vide Max, non poté resistere alla tentazione di fingere, solo per un po’, di avere ancora un compagno.

Quando la signora Henderson abbracciò Max con forza, con le lacrime che le rigavano il viso, abbracciò anche Tommy. “Non stai più solo giocando a fare il detective”, gli sussurrò.

E improvvisamente, nessuno nel quartiere rideva più del taccuino o della lente d’ingrandimento di Tommy. Aveva risolto il mistero che tutti gli adulti non erano riusciti a risolvere.

Per la prima volta, Tommy sentì esattamente ciò che aveva sempre creduto: non era solo un bambino che giocava. Era davvero un detective.

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