Quando Emma aprì le tende quella mattina, urlò.
Nel suo piccolo giardino di periferia, recintato su tutti i lati, c’era un enorme cavallo nero come la pece. I suoi occhi brillavano al sole del mattino, il suo respiro appannava l’aria. Scalpitava sull’erba come se fosse il padrone del posto.
Emma viveva in un quartiere tranquillo. Nessuna scuderia, nessuna fattoria, nessun campo per chilometri. Eppure eccolo lì.
I vicini accorsero quando sentirono il trambusto. Alzarono i telefoni e scattarono foto. Qualcuno scherzò dicendo che era uno scherzo, ma nessuno riusciva a spiegare come un cavallo di mezzo quintale fosse semplicemente apparso nel cortile chiuso a chiave di Emma durante la notte.
Fu chiamata la protezione animali. Convinsero il cavallo a salire su un rimorchio, mormorando qualcosa su “bestiame fuggito”, anche se nessun ranch aveva segnalato alcuna perdita.
La cosa avrebbe dovuto finire lì. Ma non fu così.
Perché il giorno dopo, Emma trovò qualcosa nell’erba dove si trovava il cavallo: una borsa di pelle semisepolta. All’interno, avvolta in una tela cerata, c’era una pila di lettere sbiadite.
Si sedette al tavolo della cucina, con le mani tremanti mentre leggeva.
Le lettere risalivano al 1943. Erano lettere d’amore, scritte da un soldato a una donna di nome Margaret, la nonna di Emma. La calligrafia era elegante, le parole crude e disperate. Lui aveva promesso di tornare dopo la guerra, di sposarla, di portarla lontano.
Ma l’ultima lettera finiva bruscamente, con una frase agghiacciante:
“Se mai vedrai il cavallo nero, saprai che ho mantenuto la mia promessa”.
Emma sentì un nodo allo stomaco. Era cresciuta sentendo bisbigliare del “amore perduto” di sua nonna, un uomo che non era mai tornato. Suo nonno era stato un uomo completamente diverso. Nessuno parlò mai più del soldato.
La voce si diffuse rapidamente. I vecchi vicini ricordavano le storie raccontate dai loro genitori, sul cavallo nero che vagava per la città di notte, apparendo sempre prima che qualcosa di importante venisse rivelato.
Alcuni dicevano che fosse un fantasma. Altri dicevano che fosse un presagio.
Emma non sapeva cosa credere. Ma quella notte, si affacciò alla finestra, fissando il punto in cui si trovava il cavallo, stringendo al petto quelle fragili lettere.
E nel silenzio, le sembrò di sentirlo: il debole rumore degli zoccoli sul selciato, che si affievoliva in lontananza.